Dopo anni di vignette in cui si vede il “capo” che impartisce ordini e il “Leader” che traina il carro, ci si interroga ancora sul ruolo del leader. Il vero ruolo di Leader. Perché in effetti, qualsiasi definizione sa pure un po’ di stantio. 

Oltre alla differenza tra capo e leader, spesso viene anche confuso il ruolo di manager con quello di leader: il leader e il manager sono due figure diverse, anche se ci si aspetta che il manager sia anche un leader, anzi, spesso, lo si dà per scontato. Ognuno di noi però ha avuto un manager (almeno uno nella vita professionale) che non aveva la benché minima traccia di leader: carenza di comunicazione, ascolto minimo, empatia non pervenuta, difficoltà nella pianificazione e condivisione sia delle attività sia degli obiettivi.

Spesso, purtroppo, il manager è colui/colei che sa svolgere molto bene il proprio ruolo tecnico e che viene promosso/a perché esperto conoscitore della materia.

 

Si fa presto a dire “Leadership”


La
leadership però non è una hard skill, e ha poco a che fare con l’expertise di settore. Ecco quindi che il team lavora male, litiga, il clima è teso, non si raggiungono gli obiettivi e scatta la ricerca del “colpevole”. 

L’errore viene punito e il manager interviene risolvendo in prima persona il problema. Così il team non impara, non comprende la soluzione adottata (soprattutto il come si è giunti a quella soluzione) e la volta successiva ripercorrerà lo stesso schema: di nuovo il manager interverrà in prima persona, in un loop infinito.

 

La leadership e il clima aziendale


Un buon leader è anche spesso un buon “ambassador” dei valori aziendali, dello storytelling che l’azienda desidera veicolare ed è in grado di intervenire per gestire il malessere dei membri del team. Questa attitudine aiuta a
mantenere un clima disteso e collaborativo (certo, non è l’unico ingrediente) e a prevenire repentine uscite aziendali

Oggi le aziende chiedono tipicamente il raggiungimento di obiettivi prefissati (non sempre condivisi), di misurare le performance dei propri dipendenti e di poter controllare al meglio le proprie risorse; i dipendenti desiderano un migliore “work life balance”, poter discutere e concordare gli obiettivi ed essere monitorati (e non controllati) sulla base del raggiungimento degli obiettivi. Quello che sembra un tiro alla fune senza vincitori né vinti può trasformarsi in un’opportunità? 

La leadership e l’intelligenza emotiva ci rispondono di sì. Le aziende hanno bisogno di cultura manageriale e di leader efficaci per un cambio di marcia: lo chiede il mercato.

 

Esiste un solo Leader?


Non esiste un solo modo di essere leader. Daniel Goleman, psicologo e scrittore statunitense ed esperto di Intelligenza Emotiva, spiega che le abilità emozionali si traducono in 6 stili di leadership:

  • Stile visionario
  • Stile democratico
  • Stile coach
  • Stile esigente
  • Stile armonizzatore/affiliatore
  • Stile autoritario

Ma le ultime tendenze propongono un modello dove possono coesistere più leader, soprattutto se hanno stili di leadership diversi tra loro e complementari. 

A questo punto si può parlare di leadership condivisa, distribuita o diffusa: questo modello sostituisce il leader/decisore unico con un processo di decision-making collaborativo. 

E’ il team che condivide la definizione e la responsabilità collettiva dei risultati: in questo modo, il potere decisionale non è più appannaggio esclusivo di un manager, ma è suddiviso tra i diversi livelli organizzativi della squadra di lavoro. E, quando emerge una criticità, la persona del team con le capacità e l’esperienza più adatte prende la guida del processo finché il problema non viene risolto.

Ciascun membro del team diventa protagonista ed elemento valorizzato, fondamentale per la buona riuscita del progetto.

 

Potenziare la propria leadership


Comprendere lo stile di leadership che più rappresenta ciascun manager è, a tutti gli effetti, un percorso di apprendimento: l’
arte della leadership può essere acquisita, elaborata e migliorata. 

I percorsi di coaching, per esempio, sono pensati e strutturati per diventare la classica “cassetta degli attrezzi” del manager per valorizzare le proprie peculiarità e le proprie qualità intrinseche. Il coach infatti stabilisce una serie di obiettivi con il proprio coachee e mette in campo una serie di pratiche per consentirgli di lavorare sui propri punti di forza (o di debolezza), a seconda di ciò che il manager evidenzia. Il coach, insomma, lavora per potenziare l’intelligenza emotiva.

Sempre Goleman ci aiuta a comprendere meglio le opportunità che ci apre l’intelligenza emotiva: occorre sviluppare la consapevolezza di sé per sviluppare la capacità di riconoscere le proprie emozioni e i propri punti di forza, così come i propri limiti e le proprie debolezze. Inoltre, l’intelligenza emotiva ci aiuta ad affinare la capacità di intuire come queste caratteristiche personali sono in grado di influenzare gli altri.

 

Autore:

Carlotta Landi
CEO IN.SI. Srl – Role model & Unconventional leader